1/3
e in principio fu l’OK tra divertimento, sperimentazione e provocazione - MoaiPress
e in principio fu l’OK tra divertimento, sperimentazione e provocazione
“Essere creativi è fare la propria festa con tutte le cose, attraverso una ricreazione continua. […] Non c’è libertà artistica senza il potere della festa.” 1 Così recita uno dei punti del “Manifesto di gennaio” scritto dal Gruppe SPUR, l’ala tedesca dell’IS, nel 1961.
Definito come una dichiarazione di festa e divertimento permanente, più di trent’anni dopo sembra che i suoi enunciati riprendano vigore rinnovati nelle azioni del Gruppo Ok, evocate in questa intervista e guidate da uno spirito che non contempla competizione interna né esterna, quanto piuttosto uno scambio senza tensioni, non escludente, né esclusivo nel segno della sperimentazione. In effetti, parlare di sperimentazione Ok vuol dire avere a che fare con qualcosa che non è studiato a priori per distinguersi e competere all’interno della scena writing italiana, ma nasce soltanto dal divertimento di creare insieme rielaborando e dando forma genuina a quel caos di influenze artistico-culturali a cui erano sensibili. Se c’è un coro, il Gruppo era ed è OK, perché ne è sempre stato fuori. Fin dal nome a cui hanno scelto di appartenere: non una crew, bensì un gruppo di amici prima che di writers, sui cui natali pare ci sia anche lo zampino dell’edizione del 2000 di Panico Totale, a cui ho reso omaggio QUI per il suo 20° anniversario in relazione all’omonimo libro che ho scritto nel 2016.
Questa è la prima parte dell’intervista, che ho avuto la fortuna di fare a 8 membri del Gruppo, adesso non rimane che immergervi nello spirito Ok e accendervi!
1. Già dal nome vi siete distinti nel panorama del writing italiano. Perché Gruppo Ok?

Cook, Blyz, Suede e Diry (Berlino), Karlshorst Berlin, 2001 circa. ©Mondo
108: In realtà ci chiamavamo anche OK Crew o Ragazzi Ok, Ok Boys e in alcuni casi anche Fondazione Ok. L’importante è l’OK. E’ una domanda per Pira visto che è stato il patriarca della cosa, ma in ogni caso OK era il modo più breve, diretto e ricordabile per esprimere il concetto di essere persone OK. Il mondo dei graffiti è pieno di gente che si prende troppo sul serio, di atteggiamenti macho, di guerre tra crew. Noi ci siamo trovati tra persone che amavamo scrivere sui muri, ma non eravamo quello. Con questo non voglio dire che fossimo ragazzi perfetti, anzi, molte volte abbiamo creato problemi, molti ci ricordano infatti per aver creato più volte il caos o quando nei nostri muri mettevamo simboli poco politicamente corretti. Penso che tutti fossimo (e spero siamo) contro la violenza e gli atteggiamenti violenti, certo c’era della provocazione e la voglia di essere i peggiori. È molto difficile spiegare cos’era l’OK in poche parole.

Spot e Suede, Anti MTV days, XM24 Bologna 2002. ©Spot
Per esempio, c’era anche questa cosa della politica e del politicamente corretto che, all’opposto del machismo di poc’anzi, a volte diventava proprio insopportabile con quei personaggi che sembravano avere la verità divina a cui tutti dovevano sottostare e si comportavano come dei preti. Anche quelli non li sopportavamo molto e li combattevamo con “velate” provocazioni. A pensarci adesso tutte queste cose oggi sono peggiorate moltissimo, ci vorrebbero proprio dei nuovi OK! A vederla oggi, eravamo dei surrealisti, anarchici e iconoclasti, ma nel vero senso della parola. Vedevamo le foto dei writer in yard tutti perfetti stilosi e allora delle volte ci vestivamo apposta in modi buffi. Mi ricordo che Blyz si metteva le giacche da balera gialle o rosa di suo zio, quelle anni ‘80 con le spalline enormi! C’era sì della provocazione, ma il punto centrale era divertirsi e fare gli stupidi tra di noi, non facevamo queste cose per essere al centro dell’attenzione, infatti non ci chiamavano quasi mai a fare cose importanti (a parte il povero Pietro da cui abbiamo fatto qualche disastro).

Blyz, Mondo e Cook, 2002.©Mondo
DEM: Perché siamo italiani e non americani, quindi crew, Posse etc anche no. Inoltre, noi per gruppo intendevamo un gruppo di persone, non un gruppo di writers, perché il writing veniva dopo, prima di tutto veniva l’amicizia.
Dr.Pira: All’inizio ci chiamavamo semplicemente “l’OK” o “i ragazzi OK”, o anche “Ok crew”. Poi abbiamo pensato che Gruppo Ok fosse più bello. Un po’ perché ci piaceva in italiano – anche se “ciurma Ok”, che è la tradizione più filologica di “crew”, non era male – e un po’ perché ci ricordava i nomi che si davano certi collettivi artistici di avanguardie più classiche. Il Normal Group, per esempio, era un collettivo tedesco degli anni ‘80 che aveva quasi il nostro stesso approccio.
Mr.Mondo: Su questo devo dare il merito agli altri. Comunque utilizzare parole in italiano aiuta a distinguersi dalla maggior parte di sigle e nomi in inglese che girano nei graffiti. Personalmente trovo che suoni anche bene e dia l’idea di chi siamo.

Mondo e Kane (aks ok), 2003 circa. ©Mondo
Punto: OK è un aggettivo che indica un modo di essere, personalmente ci considero ragazzi OK più che membri del Gruppo OK. Credo di avere visto per la prima volta la dicitura “Gruppo OK” a Modena in occasione di una jam in cui tra l’altro ci divertimmo tantissimo.
Spot: Non saprei. Penso non si badasse molto a queste sottigliezze, si badava molto di più a farci i muscoli, ad esempio. Alcuni si erano giustamente convinti che schiacciare più forte i tappini degli spray permetteva un risultato migliore, e per farlo bisognava essere più forti. Mi pare che qualcuno si era messo a fare palestra proprio per questo scopo.
Alfano: Non ricordo precisamente perché sia stato scelto il termine “gruppo” in alternativa a “crew”, ma posso ipotizzare il percorso logico che ha portato a questa scelta, che immagino sia riconducibile allo spirito del “collettivo”, di un gruppo di persone che fa cose insieme (generalmente pitture parietali) con una finalità ludico/ricreativa che rimanda all’idea di un’eterna ricreazione (nell’accezione dell’intervallo in ambito scolastico). Questo, come dice il mio amico Vincenzo Costantino, è la modalità ideale per vivere intensamente e con purezza il sentimento della passione. Curiosità: ricordo che tra le varie opzioni fu proposto anche il termine “comitato”.
Aris: Sono entrato nel Gruppo in un periodo successivo alla sua fondazione e mi sono perso la genesi del nome.
2. Come un organismo, il Gruppo si è formato ed è cresciuto. Mi direste da quali crew provenivano i membri della prima formazione e come questa si sia trasformata e stabilizzata nel tempo?

Koma, Cook e Mr.Mondo. Icone Modena 2003. ©Mondo
108: Io mi ricordo solo l’inizio: con Pira ed altri amici dell’alessandrino ci trovavamo per fare muri, tag, etc già da metà anni ’90 chiamandoci PRC. Praticamente era già l’OK, ma eravamo limitati in zona. Prima volevamo fare le lettere belle pulite classiche, poi con quella nostra mentalità, guardando gente come Lemon a Milano, gli scandinavi e alcuni parigini, abbiamo iniziato anche a rendere le lettere più sperimentali, meno americane, e fare cose che non erano nemmeno più lettere. Ad un certo punto è nata l’OK e se ben ricordo all’inizio era l’unione tra PRC e AKS dal lodigiano.
DEM: Ci siamo conosciuti per la prima volta a Orléans, vicino Parigi. Lì viveva un nostro amico, Camillo, che all’epoca non dipingeva neanche ed era amico di Suede. Quando io e Blyz andammo a trovarlo, Suede era già lì insieme ad altri ragazzi dell’NBW, come Punto, Shark e un mix di skaters e altre persone. Il Gruppo Ok nasce, infatti, da un mix tra la PRC, la AKS e l’NBW, nel tempo poi abbiamo invitato anche altre persone a pittare. Si era trasformato in un gruppo che metteva dentro anche tanti elementi esterni al mondo del writing canonico ed alcuni di questi si erano messi anche a dipingere solo per divertimento. Alla fine è rimasto chi veramente dipingeva e aveva voglia di dipingere, mentre con gli altri abbiamo continuato a vederci, ma in una forma più di incontro per stare insieme. Del Gruppo Ok sono Suede, 108, Peio, Blyz, Alfano, Aris, Kane, Mondo, Cook, Mine, Punto, Shark, Diry, Agro, Spot, Eat, Oboe, Wombo, Lillo e DEM.

OK DYO è un piacere. Mr.Mondo, Suede, Eat (OK) e Pista (DYO). Milano-Rogoredo, 2003. ©Mondo
Dr.Pira: Inizialmente il Gruppo Ok è nato come la fusione della PRC di Tortona / Alessandria (principalmente io, 108 e Peio) e la AKS del lodigiano (Dem, Blyz e Cook e Mondo erano i più attivi in quel momento). Ma se vuoi fare il paragone naturalistico dell’organismo, colgo la palla al balzo e ti metto tutto in prospettiva Piero Angela. Il Gruppo Ok è nato esattamente nel Caos Primordiale che ha segnato la fine del writing tradizionale in Italia e i primi albori della nuova ondata, se così si può definire: l’ultima edizione del Panico Totale a Pisa, nel 2000. Io e Blyz avevamo deciso di fondere le nostre due crew e di arruolare “tutte le persone simpatiche” che incontravamo quel giorno. Visto come è andato a finire quel festival, è difficile ricostruire i dettagli: i ricordi di chiunque sia stato là quella sera sono confusi e culminano con la distruzione misteriosa di un intero capannone, in cui mi sono risvegliato con Dem e decine di altri writers il mattino dopo. Era uno scenario da adduzione aliena, ma sono certo che gli extraterrestri non siano coinvolti in questo caso. Il motivo per cui sottolineo quella serata è che noi non eravamo l’unico Gruppo Ok. C’era un’altra crew OK di Roma, con un approccio diametralmente opposto al nostro. Per diversi anni sembrava ci volessero sfidare, per via del fatto che avevamo lo stesso nome, e noi rispondevamo che per lo stesso motivo avremmo dovuto fare amicizia. Poi la cosa è finita lì. Solo dopo una decina d’anni abbiamo scoperto il motivo di questa misteriosa coincidenza, per merito di una ricostruzione storica di Blyz: la sera del Panico Totale aveva invitato il Trota a far parte del Gruppo Ok. Lui deve averci incluso qualcun altro, ma né nessuno di noi, né nessuno di loro si ricordava nulla il giorno dopo – e qui uno potrebbe concludere che il motivo di questa amnesia sia un’adduzione aliena, ma come ho detto non c’entravano gli alieni, imputerei piuttosto il tutto a un blocchetto di free drink. Quindi noi ce ne siamo tornati a nord, convinti di essere l’unico Gruppo Ok, e gli altri a sud, convinti anche loro di essere l’unica Ok Crew. Dal Caos Primordiale erano nati i due principi opposti. Non che uno sia meglio e l’altro peggio: l’Ok di Roma era più classica, noi più destrutturati, e l’opposizione di principi è la base dell’evoluzione, no? Ma soprattutto, trovo che sia molto bello, se non indispensabile, avere una mitologia epica all’origine del proprio Gruppo. Tutte le civiltà ne hanno una, non vedo perché noi dovremmo farne a meno. Tutto quello che segue è storiografia più pragmatica, se vuoi posso raccontarla, ma è più accademica.

108, Pira, Dem e CT. Format C, Modena, 2007. ©Aris
Mr.Mondo: Mi ricordo che c’è stato un periodo che la cosa era andata fuori controllo e non ci capivo molto neanche io su chi eravamo e quanti eravamo, perché ogni volta che incontravamo uno che ci stava simpatico gli dicevamo che era un OK. Spesso ad insaputa degli altri membri del Gruppo, per cui mi è capitato anche di scoprire che alcune persone erano membri del gruppo Ok dopo alcuni anni. Anche questa era una cosa molto da Gruppo Ok diciamo. Non è mai stato fatto un censimento, per cui credo che non lo sappiamo bene neanche noi.
Punto: Non credo ci siano state grande trasformazioni nel tempo, diciamo che dopo un primo periodo più ermetico c’è stato un momento in cui abbiamo allargato le maglie della setta e altri adepti si sono naturalmente aggiunti.
Spot: Quando sono entrato nella Prc (power rangerz crew), la crew della nostra provincia che poi si è unita con le altre creando la Ok, c’erano già 108, Pira, Peio, Sid e un altro tizio che poi è sparito e non se ne sa più nulla (che comunque faceva robe geniali) mi pare fosse circa il ‘98. In quegli anni io disegnavo e producevo musica elettronica, che all’epoca, era ancora una cosa di nicchia. Ricordo che incontrai il Pira in giro per Tortona, non lo vedevo da anni. Uno di quelli con cui praticamente sono cresciuto da ragazzino, con cui si skateava insieme, per capirci. Rimanemmo ore a parlare delle nostre produzioni musicali (anche lui produceva roba elettronica e aveva fondato pure un etichetta, la storica Cervellomeccanico Records). Da li a ritrovarmi dentro un flow di produzioni artistiche, visive, musicali, il passo è stato breve. Per me è stato trovare semplicemente altre persone che stavano facendo quello che volevo fare io. E’ stata una cosa naturale ed automatica. L’evoluzione della Ok, se di evoluzione si può parlare, è sempre andata così, era come una cosa che doveva nascere e avere un periodo di esistenza, ma lo ha scelto lei, noi lo vivevamo solamente e abbiamo permesso che accadesse.

Aris, Dem, Merlo e Run. Elettro+, Firenze 2005. ©Aris
Alfano: Potrei dire di essere un OK di seconda generazione, quindi non ho vissuto la trasformazione dal principio, in ogni caso ad un certo punto alcuni di noi si sono cimentati nella pratica della pittura murale di grande formato. Questo momento, che corrisponde al periodo a cavallo tra il 2003 e il 2005, segna (a mio avviso) l’inizio di un percorso di ricerca stilistica e di contenuto individuale (sicuramente più netta per alcuni componenti del gruppo).
Aris: Il primo nucleo OK nasce nel 2000, i fondatori sono: Dem, Blyz, Suede, Emon (108), poi proprio come dici tu la crew cresce e nel 2007 anche io ne entro a far parte, in occasione di una edizione di Icone, “Format C”, che si teneva in un paesino vicino Modena. Dipingevamo una stazione degli autobus, fra i vari invitati c’erano diversi componenti OK: 108, Pira, Dem e Peio. Lì una sera a cena abbiamo brindato alla mia incoronazione come membro del gruppo! Molti dei componenti del Gruppo li avevo già conosciuti in precedenza. Con Dem avevamo dipinto insieme, in combo con Run e Merlo, un muro all’Elettro+ (un centro sociale a Firenze). Seguivo da tempo i lavori di tutti, sia per i graffiti sperimentali, che per l’evoluzione nella direzione di forme altre rispetto al lettering che avevano avuto alcuni di loro. Trovavo che avevamo un percorso e un’attitudine affine, poi, conoscendoci, ci siamo trovati bene anche a livello personale.
3. Quali erano i vostri riferimenti culturali? Quale era il vostro atteggiamento verso questi input e come siete riusciti a sentirli, mescolarli e a farli vostri?

Kane, Cook, Dem, Mr.Mondo, Koma, Enok. aks, ok. Piacenza 2004 circa. ©Mondo
108: Per quanto mi riguarda, visto il periodo e quello che facevo, guardavo i graffiti degli anni ’90, pre-internet diciamo, con molti stili ben distinti e sempre originali. In parallelo però, frequentando certe situazioni, soprattutto i concerti, guardavo i poster e tutta quella roba fotocopiata con impaginazione analogica, le copertine dei dischi, i “graffiti” dei Crass e l’estetica punk di Washington. Anche i fumetti, visto che il mio sogno per anni è stato fare il fumettista. Amavo certe cose giapponesi come Akira, Ghost in the shell e ovviamente Miyazaki, molta roba europea come Moebius, Bilal, Toppi. Impazzivo per il fumetto underground, quello americano poco, ma Sandman è ancora oggi una delle cose che preferisco. Con Pira poi collezionavamo tante cose bizzarre, come i flyer delle sette religiose e di altri gruppi strani, che nel periodo pre-internet si trovavano in giro. Da questo e da altri interessi ancora, come quello per tutta quella scena cyber-politica-filosofica anni 80-90, è derivata una certa estetica e l’idea di mettere in giro cose incomprensibili per destabilizzare la gente in strada. Per me la visione di Decoder, il film di Klaus Maeck diretto da Muscha a metà anni ’90, al Subbuglio in Alessandria è stata fondamentale. Il film, pazzesco, era un po’ il documento cinematografico di tutta quella scena, dentro c’era gente come W.S. Burroughs, gli Einsturzende Neubauten, Christiane F., Genesis P-Orridge. Insomma tutto quell’immaginario che in qualche modo per anni mi sono portato dietro. Un’altra cosa era l’interesse per l’arte preistorica e per le forme di arte religiosa anche esotiche e per l’art brut – outsider art. Avevo appena iniziato ad interessarmi alle filosofie orientali (ma non solo) da cui viene il mio nome.
DEM: Come riferimenti culturali era un mega mix. Ascoltavamo sia metal che punk, che reggae, che dub, rap, hip hop, tekno, D’n’B, doom e stoner. Cercavamo di mixare un po’ tutto, come anche la cultura skate con tutta una serie di riferimenti ai centri sociali di un certo tipo, all’anarchia, anche a livello politico più esteso. Il nostro atteggiamento era quello di sperimentare e divertirci, quello di osare sempre all’interno della sperimentazione.

Kuter, Punto, Mr.Mondo. Hall of fame KNM, Grosseto 2005. ©Mondo
Dr.Pira: Penso che nessuno di noi avesse in partenza un approccio classico ai graffiti. Non disdegnavamo le tradizioni, ma semplicemente non vi eravamo implicati più di tanto. Una cosa che sicuramente avevamo tutti in comune era il pensiero che qualsiasi cosa fossero prima i graffiti, noi lo stavamo facendo in un luogo e in un’epoca completamente diversa. Non so dirti perché, ma spesso quando andavo a dipingere attorno all’anno 2000 mi tornava in mente 2001 Odissea nello Spazio, che è stato uno dei miei film preferiti fin da bambino. Pensavo al fatto che mio nonno faceva il contadino, che gli aerei per lui erano un miracolo affascinante, e che se gli avessi chiesto se avrei potuto fare l’astronauta nel 2000, a lui non sarebbe sembrato strano. Invece, mi trovavo a rischiare di essere arrestato per fare dei disegni su dei mezzi di trasporto parcheggiati in aperta campagna. L’assurdità di questa associazione, che non so spiegare meglio di così, mi sembrava di gran lunga più affascinante di tutta la mitologia del Writing anteriore. E’ vero che non conoscevo nemmeno bene la storia del Writing al tempo, ma anche quando l’ho studiata più a fondo è sempre stato l’elemento surreale a colpirmi e quell’elemento è insito nel fatto stesso che qualcuno si impegni così tanto per fare dei disegni così assurdi, oltretutto mettendosi a rischio. Non puoi cogliere questo paradosso se non ti mantieni mentalmente distaccato dalla tradizione e noi eravamo in effetti nella posizione ideale. I Writer milanesi, avendo la metropolitana, potevano immaginarsi in un contesto simile a New York. Potevano trovarsi una crew rivale e giocare alle gang del ghetto. Noi avevamo più probabilità di essere inseguiti da cinghiali o contadini. Ci perdevamo nella nebbia per cercare le yard, e dipingevamo alle sagre del vino. Alle sagre, gli anziani apprezzavano il nostro stile di pittura molto più di quanto facessero gli altri writer alle jam, che diffidavano di noi pensando che volessimo provocarli o che non fossimo in grado di dipingere un pezzo classico. In più, gli anziani alle sagre ci pagavano gli spray e ci offrivano da mangiare e da bere. Come puoi non far tuo un contesto culturale simile? E sentendo spontaneamente un distacco dalla forma classica, ti rendi conto che le possibilità sono infinite. Tutti gli input che ci arrivavano entravano immediatamente a far parte del nostro concetto di writing, da quel punto in poi. D’altronde, le origini del writing non sono esse stesse una concatenazione di casualità? Facevano i puppet in quel modo perché copiavano quello che avevano a portata di mano. Con questo non voglio dire che è sbagliato ispirarsi solo alla tradizione del graffito classico, ma non è nemmeno obbligatorio farlo.
Mr.Mondo: Credo che quello che distingueva maggiormente il Gruppo Ok fosse l’approccio al dipingere e lo stile dei nostri pezzi ne era una naturale conseguenza. Molti facevano riferimento a noi per lo stile “matto”, ma non credo che nessuno di noi dipingesse con l’intento di fare una cosa per forza strana o come si diceva all’epoca “punk”. Non esisteva una forzata ricerca del pezzo matto. Poi non tutti nell’Ok facevano pezzi per forza stranissimi. Ad esempio, che mi ricordi, Punto non cercava mai di fare cose matte, ma belle e ben equilibrate. Cook come me faceva sia pezzi classici che più sperimentali. Non tutti i membri del Gruppo Ok sono di provincia, perché ci sono anche dei membri dell’NBW di Milano. Però il fatto che molti di noi lo fossero ha influito tanto. In quegli anni la globalizzazione, anche nei graffiti, era meno accentuata. Inizialmente facevo riferimento alla scena delle grandi città, ma io non ne facevo parte e non la potevo vivere. Forse per quello non mi sono mai riconosciuto molto nel mondo dei graffiti tradizionale. Come altri provinciali ho cercato di interpretare a mio modo le regole del gioco. Le interviste di alcuni writer dell’epoca non mi interessavano più e le trovavo spesso spocchiose, piene di dogmi inventati per autocelebrarsi. Volevo dipingere allontanandomi dalla mentalità di alcuni di loro e cercare una mia strada, sapendo magari che non sarebbe stata meglio, ma forse più originale. Quando ho incontrato gli altri ragazzi ci ha accomunato anche questa attitudine. Dipingere per divertirsi senza prendersi troppo sul serio, facendo le cose senza preoccuparci troppo del giudizio degli altri. Poi avevamo anche altri interessi spesso poco congruenti fra loro, che ci hanno influenzato. Questa mancanza di filo conduttore credo che si vedesse molto. Per quanto riguarda le ispirazioni nell’ambito dei Graffiti, ho sempre fatto molto più riferimento agli stili Europei. Forse perché il primo libro che ho avuto è stato “Spray can art”, che contiene molta roba Europea. Le prime cose dal vivo le ho viste in viaggio con i miei sul lungo linea ferroviario a Parigi e quando sono andato a casa di mia zia e dei miei cugini a Monaco di Baviera. A 14 anni sono andato a fare le superiori a Piacenza. Quella è stata la mia New York solo che i primi pannelli che vedevo erano quelli di Rok ed Eron. Anche loro con uno stile super Europeo.

Ah, Suede, 108, Mr.Mondo. 2005.©Mondo
Punto: Facevamo tutti parte del mondo dei graffiti e condividevamo l’idea che fare i graffiti è bello perché si sta insieme e si disegna con le bombolette colorate. Difficile trovare dei riferimenti culturali comuni che non fossero appunto i graffiti e il piacere di disegnare lettere con i colori. Se devo rispondere in chiave ‘stilistica’, all’epoca non ero particolarmente interessato alle cose pazze che facevano in nord Europa, mentre quasi tutti gli altri sì. All’interno del gruppo c’erano approcci stilistici non sempre condivisi, ma l’importante era la condivisione di una certa idea di divertimento e amicizia che rendeva lo stare insieme bellissimo. Non facevamo riferimento a nessuna cultura per quello.
Spot: Può sembrare buffo, ma io con la cultura hip hop non ci ho mai azzeccato nulla. Per me la storia dei graffiti era una roba tutta nuova, e come tutte le robe nuove io ci strippavo. Conoscevo la cultura hip hop, sapevo benissimo cosa erano e perché esistevano i “murales”, non fraintendermi. E’ che a me è sempre sembrata una roba buffa. Io venivo dal punk e dal degrado musicale estremo (grindcore, noise, doom). Le musichette fatte parlandoci sopra di macchine rimbalzanti o di guerre tra gangster di provincia mi hanno sempre incuriosito, ma non le ho mai prese in seria considerazione. Però mi piaceva disegnare. E il poter portare le mie storie e stravolgere anche questo mondo, che segue comunque degli schemi ben precisi (è inutile negarlo), mi ha affascinato sin da subito. Ok, faccio i graffiti. Mark Beyer, Bruno Bozzeto, Altan, Derek Riggs, Go Nagai, Corrado Roi, Buron Son & Hara, Lovecraft, i Dead Can Dance, Richard Scarry, sicuramente hanno influenzato da sempre il mio modo di esprimermi, o hanno comunque avuto un impatto decisamente importante. Ma ho sempre avuto il cruccio di metterci del mio. E’ un vizio che mi accorgo di avere in tutto. Questo mi porta a produrre indipendentemente dalla qualità del risultato. Una sorta di continua ricerca del capirsi. Non saprei che altri modi usare.
Alfano: Nel periodo in cui sono stato accolto nel gruppo i miei riferimenti culturali erano piuttosto vaghi, anche se già si stava definendo la propensione ad una ricerca intimista, provocatoria, non accademica, molto legata alla spontaneità del gesto, antiestetica e in certi casi terapeutica. Nello specifico in quel periodo sono stato appassionato di art brut, di buona parte dell’arte considerata non istituzionale/convenzionale, ai graffiti old school, ai cartoni animati degli anni ’80, ai videogiochi e ai graffiti di quelli che in gergo writing vengono definiti “toy”. Tutti questi riferimenti o input si sono concretizzati in quella che è ancora in parte la mia ricerca artistica, quindi in un approccio spontaneo ed impulsivo alla creazione, ma anche ossessivo, che ha occupato ed occupa buona parte della mia esistenza. L’interesse per l’art-brut, l’attitudine ossessiva e la ricerca della spontaneità del gesto, mi hanno portato con naturalezza ad approcciarmi al contesto del disagio psico-fisico e sociale, ambito nel quale ho portato come strumento relazionale la mia esperienza nel campo dell’arte contemporanea, ideando e conducendo workshop artistico- esperienziali e come formatore per quelle figure professionali che orbitano intorno all’ambito socio- educativo che hanno interessi che esulano dagli strumenti educativi più classici. Svolgo questa attività ufficialmente dal 2014.

Alfano e Dem. Fabbrica abbandonata, Codogno 2005. ©Alfano
Aris: I riferimenti culturali sono cambiati nel tempo. Ho iniziato ad appassionarmi ai graffiti quando avevo circa 15 anni, venendo da una città di provincia nella mia zona in quel periodo non c’era ancora nessuno che dipingeva. Le prime cose le vidi durante un viaggio a Berlino e ne rimasi molto colpito. Trovavo necessario che, anche dove vivevo, si sviluppasse una scena, così ho iniziato a fare le prime scritte. Disegnare o dipingere non mi era mai interessato molto prima di allora, non mi sentivo particolarmente portato, per questo mi concentravo sulle tag a marker, riempivo quaderni interi per studiare la concatenazione delle lettere tra loro e non avendo magazine o siti da cui imparare, facevo dei viaggi nelle città vicine a ricercare tag di altri da cui prendere spunto. Qualsiasi scritta sui muri era una fonte di ispirazione, non solo le poche tag, ma anche stencil di gruppi punk o metal, frasi o loghi. Di quegli anni mi ricordo in particolare un pezzo molto potente di Boogie, che in quel periodo aveva fatto una trasferta insieme a Zagor dalle mie parti. Alcune foto di pezzi o scritte le avevo trovate nelle riviste di skate, poi negli anni successivi, quando ho cominciato ad avere per le mani le prime fanzine e i primi magazine, Tribe o Aelle, ho cominciato a guardare soprattutto alla scena di graffiti writing milanese, le cose più sperimentali come quelle di Lemon, Drop C, Rax-e. Tutto era un po’ filtrato dalla distanza, dipingere treni era il modo per mostrare il lavoro entrando in contatto con città più grandi senza spostarsi fisicamente. Non solo la pittura e la scena ci hanno coltivato, ma anche la passione per le feste e i balli matti, le esplorazioni inusuali e sicuramente una spiccata tendenza alla gentilezza. Negli anni ci siamo sfiorati spesso, con le nostre partecipazioni a riti collettivi divenuti poi punti cardinali come Panico Totale, come i concerti e i festival, le città, la Livorno-Torino e alla fine l’incontro a Icone, qui il tempo e lo spazio sono stati finalmente condivisi.
Fine prima parte (1/3)
-
Note a pie di pagina + -
e in principio fu l’OK tra divertimento, sperimentazione e provocazione